21/11/2020   Il ricordo di Ernesto Canto di Maurizio Damilano






 

 

La triste notizia della morte di Ernesto Canto rende questo 2020 per la marcia mondiale un anno particolarmente doloroso.

In primavera ci ha lasciati Hartwig Gauder e in autunno, a distanza di pochi giorni, Jordi Llopart e Ernesto Canto.

Con tutti e tre ho condiviso un pezzo importante della mia carriera.

 

Ho incontrato per la prima volta Ernesto Canto a Roma. Era il 1976, si disputava il Giro di Roma, gara conclusiva della stagione ad inizio Novembre.

Lottammo gomito a gomito sui saliscendi di Villa Borghese e da quel momento non ci saremmo più separati.

 

Nel 1977, con Armando Zambaldo e Roberto Buccione, accompagnati da Gianni Corsaro, passammo 3 settimane in quota a Città del Messico per la settimana della marcia. Allenamenti e poi alcune gare. Lì ebbi l’opportunità di conoscerlo meglio.

Ogni giorno ci si allenava insieme al gruppo dei marciatori del Prof. Hausleber e Canto era un po’ il pulcino di tutti loro. Aveva 18 anni ma già faceva parte appieno di quella squadra.

Ragazzo divertente, amichevole a volte un po’ sbruffone, ma simpaticamente, come sanno essere i centroamericani.

 

Canto non partecipò all’olimpiade di Mosca nonostante ottenesse già tempi di tutto rilievo. Davanti aveva “mostri sacri” come Daniel Bautista, Domingo Colin e Raul Gonzales.

 

La nostra prima grande sfida avvenne a Valencia nel 1981. Coppa del Mondo di marcia. Lui vinse io fui sesto.

Ai mondiali di Helsinki io non mi espressi al meglio (settimo) e lui vinse in un finale rocambolesco dove, dopo aver imboccato la strada errata nel ritorno verso lo stadio, recuperò con veemenza rimontando Josef Pribilinec ed entrando da vincitore nello stadio olimpico.

Si ripeté a Los Angeles l’anno dopo vincendo una gara sofferta e tirata sino agli ultimi metri (solo 13 secondi separarono lui primo da me, terzo).

 

Certamente gli anni dal 1981 al 1984 sono stati i suoi anni migliori, ma ha continuato a reggere il ruolo di grande interprete della 20 Km anche negli anni seguenti, seppure non riuscì più a salire sul podio nei grandi eventi.

Ricordo bene con quanta grinta affrontò la prova dei 20 Km a New York in Central Park. Pronti via e subito ad impostare un ritmo furibondo. Passò ai 10 Km sotto i 39 minuti (per allora un tempo stratosferico), e se è vero che poi pagò lo sforzo giungendo quinto al traguardo, fu però la dimostrazione che il grande campione non aveva ammainato la bandiera.

A Roma, pochi mesi dopo, non terminò la gara, come pure alle Olimpiadi di Seoul per squalifica.

 

Nel 1989  ci incontrammo ancora in Coppa del Mondo a Hospitalet (io sesto, lui tredicesimo), ma la settimana dopo nel Gran Premio Cantones a La Coruna mi batté di pochi secondi scendendo appena sotto i 39 minuti sui 10 Km che io conclusi in 39:03.

 

Ricordo quella settimana con grande piacere. Io, Giorgio (mio fratello) e Canto fummo ospiti dell’organizzazione direttamente dopo la gara di Hospitalet. Ci allenammo insieme sempre ed avemmo occasione di trascorrere tanto tempo insieme.

Ci confrontammo su molte cose ed era molto rammaricato di come i due anni precedenti fossero stati negativi, ma aveva sempre quella spavalderia positiva che lo portava a non mollare, anzi a vedere già davanti i prossimi obiettivi da protagonista.

 

Negli anni seguenti non riuscì più a concretizzare quanto voleva. Nel 1990  vinse ancora l’American Cup, ma non partecipò ai Campionati del Mondo 1991, e a Barcellona 1992, sua ultima olimpiade (come pure per me), fu ventinovesimo.

 

Vi ho riepilogato 16 anni di carriera (da quel 1976 al 1992), perché è la sua storia, ma anche la mia, anzi, la nostra storia. La storia di una vita sportivamente parallela, di un rapporto di amicizia e, soprattutto di stima, che ci ha sempre accompagnato, anche dopo la stagione sportiva.

L’ho incontrato ancora tante volte dopo il 1992, in occasione di Olimpiadi, Coppa del Mondo, gare internazionali.

Sempre c’era un caro saluto. Un abbraccio come sono soliti fare i Messicani, con un pacca sulla schiena al momento di stringersi. Un segno che ho sempre pensato fosse un simbolo di amicizia.

 

Adesso ti abbraccio forte, ti batto sulla schiena e ti auguro di riposare felice "campione".

 

 

Maurizio Damilano