18/07/2020   La favola di un predestinato che gridò "Viva l'Italia" compie 100 anni






 

 

Oggi manca esattamente un mese (18 agosto 1920) .alla prima medaglia d’oro olimpica dell’Italia nella storia della marcia.

Vogliamo ripercorrere in particolare i fatti che precedettero quei giorni anche attraverso le stesse parole di Ugo Frigerio, che, di mestiere, lo vogliamo ricordare, faceva il tipografo.

 

 


 

 

 

Nel 1920, due anni dopo la prima Guerra Mondiale, ritornano i Giochi Olimpici con la VII edizione.  

 

Le prove di marcia si sono affacciate ai Giochi Olimpici da tre edizioni:

 

- Atene (GRE) nel 1906, quando di disputarono in due giorni di seguito (30 aprile e 1 maggio) i 1.500m ed i 3.000m di marcia. 

Nella prima giornata ci fu la prova sui 1.500m marcia su pista (vittoria di George Bonhag, USA in 7:12.6) mentre nella seconda giornata quando sui 3.000m marcia su pista Gyorgy Sztantics, HUN si aggiudicò l’oro in 15:13.2, nonostante avesse tagliato il traguardo in terza posizione, a seguito della squalifica di Robert Wilkinson (GBR) e Eugen Spiegler (AUS)

 

- Londra (GBR) nel 1908, quando si disputarono tra il 14 luglio ed il 17 luglio i 3.500m marcia su pista e poi le 10 miglia.

Doppio successo per George Larner (GBR) con i seguenti risultati: 14:55.0 sui 3.500m e 1:15:57 sulle 10 miglia in pista che fu anche record mondiale 

 

- Stoccolma (SWE) nel 1912, quando si disputò, probabilmente a causa delle contestazioni relative allo stile (retaggio che purtroppo ci portiamo avanti, salvo poche eccezioni, anche ai nostri giorni), la prova olimpica si ridusse ai 10.000m marcia su pista.

In una curiosa composizione delle batterie, con i quattro più forti tutti assieme, i quattro non ebbero difficoltà a qualificarsi per la finale.

Nella finale a quattro giri dalla fine va in testa George Goulding (CAN) che vince in 46:28.4 (nuovo record mondiale). Francesco Altimani (ITA) ottiene il bronzo in 47:37.8 la prima della lunga storia delle medaglie olimpiche dell’Italia.

 

Sono in 23 gli atleti iscritti alla prima delle due prove di marcia dell’edizione dei Giochi Olimpici di Anversa in Belgio, quella dei 10.000m marcia su pista.

Due di essi sono italiani e di Milano: Ugo Frigerio e Donato Pavesi.

 

 

Raccontò Ugo Frigerio in un suo articolo del 1928 su “Lo sport fascista” come arrivò a quella finale olimpica

 

L’inizio dell’anno olimpionico non fu troppo felice per me. Nelle frequenti gare la battaglia si scatenava veemente e non sempre le mie giovani energie mi sorreggevano per rintuzzare la gagliardia offensiva degli avversari. Comunque la mia presenza destava sempre ammirazione ed entusiasmo, per le mie qualità stilistiche.

 

E fu precisamente lo stile il fattore preponderante che mise gli esperti di allora in condizioni di non precludermi l’allenamento collegiale. Anche durante questi allenamenti la mia stella mi fu sempre matrigna. In ciascuna prova ero sempre dominato in modo netto da Pavesi.

Gli è che i criteri e i metodi che imperavano in quel raduno, non si confacevano con il mio organismo ed al mio spirito. non mi erano favorevoli Mr. Platt Adams (ndr: avallato da una poco lungimirante Federazione) e qualche esperto federale. Per fortuna sulle mie sorti vigilavano influenti amici e persone di sicura competenza.

 

Frattanto il tempo incalzava e le eliminatorie si susseguivano con maggiore frequenza. Ma l’esito per me era sempre il medesimo. Sembrava ormai acquisito che i due rappresentanti nostri dovessero essere Altimani e Pavesi. Ero alquanto scoraggiato, ma ben consigliato, adottai nell’allenamento altri criteri. In breve ottenni risultati favorevoli.

 

L’ultima eliminatoria precedente la data della chiusura definitiva delle iscrizioni, fu a me favorevole. Infatti in una gara di 10 km, dopo aver costretto Altimani al ritiro, battevo Pavesi in modo convincente. Da questo momento però ebbe inizio a mio danno una battaglia occulta: non mi si voleva a tutti i costi. Ma alfine il buon senso sportivo prevalse, e partii. 

 

(omissis)

 

Naturalmente non pensavo alle gare in modo eccessivo. M’era stato detto e dimostrato in mille salse che ad Anversa mi trovavo per una graziosa concessione, che il partecipare alle gare per me era una semplice questione di dovere nazionale. Nessuna ambizione quindi mi animava, nessun progetto mulinava nel mio capo.

 

E poi quei nomi esotici degli avversari, dal passato irto di performances e di records, mi incutevano: che cosa? Rispetto, timore, soggezione? Mah! Non lo sapevo nemmeno io. E poi nella mia batteria avevo per avversario anche Pavesi, proprio quello che non ci voleva.

Ad ogni modo ricordo che mi presentai alla partenza, mentre tremavo come una foglia dall’emozione. Alfine venne il “via” liberatore. mi trovai nella mischia senza volerlo e senza accorgermi.

 

Nello sviluppo della lotta a un certo punto mi trovai in primissima posizione alle prese con Pearmann (americano) e Parker (australiano). Il primo, un coso lungo come una giraffa e segaligno, mi precedeva, mentre l’australiano grosso come un bue e che soffiava come un mantice, mi era addosso. Ricordo che ebbi l’impressione che fra i due ci fosse un’intesa e che Parker avesse soprattutto l’intenzione di levarmi le scarpette. Allora fuggii. E vinsi.

 

Generale fu la sorpresa. Per me invece nessuna viva sensazione. Nemmeno la gioia del trionfo. Gli è che il mio spirito non era preparato a tanto. Compresi solo che avevo conquistato il diritto di partecipare alla prova finale, al pari di Pavesi che si era classificato quarto.

 

Frigerio infatti vinse la prima batteria con il tempo strabiliante di 47:06.2/5 prima che la giuria realizzasse che tutti gli atleti avevano effettuato solamente 24 giri anziché 25. 

Il tempo avrebbe dovuto essere circa 49.10 per l’intera gara dei m. 10.000, in ogni caso molto buono anche comparandolo con quello del vincitore della seconda batteria, l’inglese William Hehir (in 51:33.8). 

 

Nella finale (con 11 atleti alla partenza) lo statunitense Joseph Pearman condusse la gara nella prima parte per circa 10 dei 25 giri. Frigerio (il primo Km. venne coperto in 4:28), dopo averlo raggiunto, tirò il fiato per un giro e poi di scatto partì facendoli vuoto dietro di se; vinse con più di mezzo giro di vantaggio. 

 

 

 

 

Finalmente il filo di lana venne spezzato dal mio petto ansante. Mi fermai quasi trasognato. Fu un attimo. Subitamente presi un fazzoletto dai tre colori che mi porgeva il mio trainer e con lo sguardo rivolto alla bandiera della Patria che maestosa co’ suoi colori scintillanti sventolava con a fianco il boy sull’attenti, gridai forte e ripetei forte “Viva l’Italia”.

 

La vendetta però non era compiuta. Tornai alla casa degli italiani, semplice come ne ero partito qualche ora prima. Mi vennero incontro abbracci ed acclamazioni; ma varcando la soglia del locale che mi ricordava la Patria e la famiglia lontana, mi sovvenni del brutto episodio dei giorni prima.

Mi fermai, innalzai il braccio ed ancora col fazzoletto tricolore nel pugno, gridai con più forza, con più chiarezza, con maggior fede “Viva l’Italia”. L’onta era lavata.

 

Dopo qualche giorno di meritato riposo, gareggiai nuovamente nello stesso stadio e per il medesimo titolo di campione olimpionico. Vinsi infatti la batteria e la finale della gara dei tre chilometri.

 

 

Non altrettanto fortunata fu l’avventura dell’altro italiano partecipante Donato Pavesi: venne squalificato dal giudice Australiano (allora i giudici erano indipendenti nelle squalifiche), dopo che era risalito in terza posizione. Sul rettilineo d’arrivo lo tirò per un braccio e lo tolse dalla gara di fronte alla tribuna della stampa. 

 

 

Ai Giochi di Anversa del 1920 e a quelli successivi di Parigi del 1924, Ugo Frigerio conquistò tutti gli ori in palio per la marcia. Nel 1928, ad Amsterdam, la marcia fu esclusa dal programma olimpico, quindi egli decise di abbandonare momentaneamente le gare ufficiali per rientrare in occasione di Los Angeles 1932, dove conquistò (a 31 anni, che non hanno lo stesso “valore anagrafico” dei 31 anni di oggi, sia chiaro…) la medaglia di bronzo nella 50 km, distanza che fece il suo esordio olimpico proprio in quell’occasione.

 

 

 

Il racconto completo delle tre vittorie olimpiche di Ugo Frigerio da lui rilasciato a "Lo Sport Fascista" del 1928, fascicolo 1: clicca qui