Olympic Games - OG 1964 Maschile

Tokyo









I giapponesi quattro anni prima, a Roma, avevano preso dettagliati appunti su impiantistica ed infrastrutture per organizzare al meglio le loro prime Olimpiadi

Non era stato però facile ottenerne l’assegnazione. Due furono i fattori che si posero come ostacoli alla loro assegnazione: il primo fu la concorrenza del Sud Africa, ma fu il secondo ad assumere una importanza ben più rilevante: la politica.

La Cina aveva due anni prima abbandonato il CIO e l’Indonesia aveva organizzato nel 1962 i Giochi Asiatici (escludendo Formosa ed Israele) L’India reagi e chiese la sospensione dell’Indonesia dal CIO, cosa che avvenne; allora il Comitato Olimpico Indonesiano organizzò i “Games Of New Emerging Forces – GANEFO” con la Cina Popolare. Partirono una serie di squalifiche che vennero accettate da tutti eccetto che ovviamente dall’Indonesia e dalla Nord Corea.

Gli indonesiani mandarono, nonostante ciò a Tokyo la loro delegazione, che comprendeva anche molti atleti squalificati per aver partecipato ai GANEFO, sicuri che il Giappone riuscisse a convincere il CIO a soprassedere.
Ma Avery Brundage resistette, ed Indonesia e Nord Corea ritornarono a casa prima che i Giochi Iniziassero.
Per il resto fu un’edizione straordinaria. Il Giappone che aveva vinto l’elezione nel 1959 su Detroit, Vienna e Bruxelles vide partecipare ai suoi Giochi 93 paesi e 5.140 atleti, soltanto 200 in meno che a Roma, ma le distanze allora avevano il loro peso.

Fu un Olimpiade trionfale per la marcia italiana.


Vediamo cosa accadde.

Km. 20 marcia – 15 ottobre 1964

1. Ken MATTEWS (GBR) 1:29:34.0 OR
2. Dieter LINDNER (GER-GDR) 1:312:13.2
3. Volodymyr GOLUBNICHIY (URS) 1:31:59.4 (UKR)
4. Noel FREEMAN (AUS) 1:32:06.8
5. Gennadiy SOLODOV (URS) 1:32:33.0 (RUS)
6. Ronald ZINN (USA) 1:32:43.0
7. Boris KHROLOVICH (URS) 1:32:45.4 (BLR)
8. John EDGINGTON (GBR) 1:32:46.0

Parziali

Mattews: 5 Km. 22:19
10 Km. 44:23
15 Km. 1:06:52

Lindner: 5 Km. 22:22
10 Km. 44:47
15 Km. 1:07:45

Golubnichiy: 5 Km. 22:23
10 Km. 44:51
15 Km. 1:08:12

Freeman:5 Km. 22:40
10 Km. 45:29
15 Km. 1:08:48

Solodov: 5 Km. 23:00
10 Km. 46:27
15 Km. 1:09:48

Zinn: 5 Km. 22:20
10 Km. 45:48
15 Km. 1:08:48

Khrolovich: 5 Km. 22:20
10 Km. 45:28
15 Km. 1:08:48

Edgington: 5 Km. 23:15
10 Km. 46:21
15 Km. 1:09:56


Gli iscritti furono 30, provenienti da 15 paesi.

Fu una gara vera, con il favorito Ken Mattews che risultò vincitore e Golubnichiy, il campione in carica, che vinse una medaglia.

L’unica sorpresa fu la sconfitta del detentore della miglior prestazione del 1964 Hans-Georg Reimann.
Il tedesco non fu mai in gara e terminò in dodicesima posizione, ma le aspettative dei tedeschi vennero coronate dal secondo posto di Dieter Lindner che andrà a vincere fra l’altro il titolo europeo due anni dopo.

Mentre lo statunitense Zinn tentava di stare con Mattews, e fino al Km. 5 riuscì nel suo intento, Lindner divenne il diretto inseguitore del britannico subito dopo.

A metà gara Lindner era a meno di 100 metri da Mattews, con Golubnichiy a 10 metri di distanza.

Il margine di Mattews sull’ucraino aumentò fino ai 150 metri dell’arrivo; l'inglese aveva ulteriormente aumentato la sua andatura e vinse infatti con più di 300 metri di vantaggio.

Dopo il bronzo di Golubnichiy si piazzò, dietro a lui, Noel Freeman, come aveva fatto quattro anni prima, solamente che allora la posizione gli era valsa l’argento, mentre qui a Tokyo solamente il quarto posto.

Golubnichiy infine vide sfilare dalle maglie sovietiche anche il record della distanza che apparteneva a Spirin, stabilito a Melbourne (1:31:27.4) che venne stracciato di quasi tre minuti.

Gli inglesi, finalmente, avevano avuto la loro giornata di gloria.


Km. 50 marcia – 18 ottobre 1964

1. Abdon PAMICH (ITA) 4:11:12.4 WR
2. Paul NIHIL (GBR) 4:11:31.2
3. Ingvar PETTERSON (SWE) 4:14:17.4
4. Burkhard LEUSCHKE (GER-GDR) 4:15:26.8
5. Bob GARDINER (AUS) 4:17:06.8
6. Christoph HOHNE (GER-GDR) 4:17:41.6
7. Anatoliy VEDYAKOV (URS) 4:19:55.8 (RUS)
8. Kurt SAKOWSKI (GER-GDR) 4:20:31.0

Parziali

Pamich: 10 Km. 48:12
20 Km. 1:37:33
30 Km. 2:27:56
40 Km. 3:19:16

Nihil: 10 Km. 48:47
20 Km. 1:37:52
30 Km. 2:27:56
40 Km. 3:19:20

Petterson: 10 Km. 50:27
20 Km. 1:40:37
30 Km. 2:31:56
40 Km. 3:22:46

Leuschke: 10 Km. 50:01
20 Km. 1:40:22
30 Km. 2:29:45
40 Km. 3:21:36

Gardiner: 10 Km. 51:55
20 Km. 1:42:24
30 Km. 2:32:27
40 Km. 3:23:46

Hohne: 10 Km. 48.35
20 Km. 1:37:46
30 Km. 2:28:24
40 Km. 3:20:43

Vedyakov: 10 Km. 50:01
20 Km. 1:40:28
30 Km. 2:31:29
40 Km. 3:24:57

Sakowski: 10 Km. 51:30
20 Km. 1:42:37
30 Km. 2:32:58
40 Km. 3:24:01


Gli iscritti furono 34, provenienti da 19 paesi.

E venne il giorno del trionfo per l’Italia.

Il fiumano Pamich, Campione Europeo in carica avendo vinto a Belgrado nel 1962, era il favorito ed andò velocemente in testa alla gara.

Per altro tutto il mondo della marcia era convinto delle sue possibilità di vittoria.

Veniva da una stagione gestita alla meglio con una prova sui 30 Km. a Gradisca che ne aveva messo in luce, se ce ne fosse stato ancora bisogno, il suo stato di forma.
Aveva inoltre vinto l’altra 30 Km. della stagione, quella di Sesto San Giovanni con più di cinque minuti di vantaggio sul secondo.

Solamente il tedesco Hohne e l’inglese Nihil furono capaci di seguirlo.

Il ritmo imposto da Pamich fu sostenutissimo.
A metà gara il tedesco dell’Est scivolò indietro.
Al Km. 30 Pamich e Nihil erano assieme, mentre al Km. 40 l’Italiano aveva un margine di soli 4”, ma vedremo in seguito la vera causa di questo lieve margine.

Dopo ulteriori 5 Km. il margine era stabile attorno ai 5”, ma Pamich riuscì ad aumentare la sua andatura ed a vincere con 19” di margine su Nihil.

Per vincere aveva dovuto migliorare quella che allora si chiamava la miglior prestazione mondiale, oltre che stracciato il Record Olimpico di Thompson di Roma di più di 14’.

Il terzo, lo svedese Petterson, anch’egli si dovette migliorare di 4’ per raggiungere il bronzo.

Chi impressionò, nonostante fosse arrivato solamente in 16° posizione, fu l’altro svedese, il 45enne John Ljunggren che terminò a 18’ dal fiumano.

Pamich voleva, dopo Melbourne e Roma, a tutti i costi un oro Olimpico.
Era ormai trentunenne, aveva bisogno di essere ricompensato di tutti i sacrifici che aveva fatto assieme alla moglie Maura, e doveva accontentare i desideri sempre insistenti dei suoi due figli Tamara e Sennen (altro nome biblico come in suo: Abdon).

Ma la gara si svolgeva in una giornata di pioggia ed il freddo, come si sa, non è un elemento piacevole per i marciatori.

Ad un rifornimento aveva bevuto un tè freddo, che purtroppo verso il Km. 30 aveva cominciato a produrre i suoi effetti che si manifestarono in maniera drammatica al Km. 38.

(dal Romanzo delle Olimpiadi di Alfredo Pigna – Ed- Mursia)
“La grande liberazione di Abdon Pamich”

A quindici chilometri dal traguardo Abdon Pamich capì che se non avesse risolto la faccenda avrebbe perso la medaglia d’oro.
Erano rimasti in testa loro due soli: lui e l’inglese. Marciavano fianco a fianco sfiorandosi ogni tanto con i gomiti. Pamich non ce la faceva più. Guardò l’inglese per vedere se era cotto. Nihil non era cotto. Lo fosse stato Pamich sarebbe scattato, avrebbe guadagnato un centinaio di metri, e avrebbe potuto fermarsi quel tanto …
“Se mi fermo, pensava Pamich, questo mi va via come un razzo, Se mi fermo – pensava – perdo il ritmo e non lo acchiappo più.”
Si può perdere un’Olimpiade per dei dolori viscerali ?
E tuttavia bisognava decidersi. Altri quindici chilometri in quelle condizioni non avrebbe potuto farli. No di sicuro.
“Ancora un chilometro – pensò – poi decido sul da farsi.”
Passato il chilometro la situazione era tale e quale come prima. Pamich rivolse uno sguardo disperato a Dordoni.
Dordoni per seguirlo stava facendo acrobazie. Da una auto saltava su una bicicletta, dalla bicicletta schizzava su una jeep e in qualche modo, nonostante l’ostruzionismo dei giudici di gara, riusciva a gridargli parole di incoraggiamento, ad informarlo sui distacchi, sui chilometri ancora da percorrere e a dargli consigli.
Lui, Dordoni, sapeva che cosa volesse dire correre “al buio” per 50 chilometri. Ad Helsinki, per poco non ci rimetteva la medaglia d’oro per una segnalazione sbagliata.
“Come faccio?” gli gridò Pamich dopo avergli spiegato, in tre parole, la cosa. Tanto i giapponesi non potevano capire.
“Proprio non ce la fai?” gridò Dordoni.
“No!”
Per un istante l’inglese sollevò la testa mezzo coricata sulla spalla destra e, dal di sotto della visiera gocciolante di pioggia del suo berrettino guardò Pamich. Pamich ebbe l’impressione che quello ghignasse. Forse l’inglese aveva capito tutto, forse non aspettava altro che il suo attimo di debolezza.
Pamich disperato, tentò un allungo.
L’inglese restò indietro un paio di metri. Non di più.
“E’ il momento”, pensò Pamich: si fermò di botto infischiandosene degli sguardi trasecolati dei giapponesi che seguitavano la corsa e fece quello che doveva fare. Finalmente !
L’inglese aveva guadagnato quaranta metri.
Non gli bastarono.
Adesso Pamich volava, leggero come una nuvola, verso quella medaglia d’oro che inseguiva da otto anni e che all’epoca di Melbourne (quarto posto) e di Roma (medaglia di bronzo), per un misterioso disegno della sorte, gli era sfuggita.
E che adesso – ma guarda che roba ! – gli era stata insidiata persino da una delle più elementari leggi della natura.